Un mio amico di cui non farò il nome ha avuto occasione di pranzare recentemente con Scalfari. Non capita a tutti, il fondatore de La Repubblica fa vita ritirata, frequenta soltanto le sue vecchie conoscenze e qualcuno dei giornalisti più fedeli alla sua vecchia testata.
Il racconto di questo pranzo è abbastanza sconvolgente ed è il seguente. Dopo alcune parole di reciproca cortesia i due commensali sono stati serviti e hanno cominciato a mangiare. Il mio amico poneva a Scalfari domande tecniche facilmente immaginabili: che cosa è diventato il giornalismo, che cosa vogliono veramente gli editori, come e dove pensano di trovare le risorse necessarie per finanziare i loro progetti, qual è la loro posizione rispetto all’Europa e all’euro e anche di fronte alle altre testate giornalistiche con le quali dovranno auspicabilmente convivere in un paese normale.
Il suo commensale rispondeva con poche parole mentre tra una portata e l’altra consultava ossessivamente una pila di misteriosi documenti; raramente il suo sguardo si posava sul suo interlocutore.
Il mio amico, non riuscendo a ottenere risposte esaurienti, adottò il metodo di rispondersi da solo con un punto interrogativo per consentire a Scalfari di esprimere il suo pensiero con un sì o con un no. A un certo punto il mio amico gli disse: «Di cosa vi occuperete al prossimo consiglio di redazione?». La risposta fu: «Lo decideranno i nuovi politici». L’altro suggerì: «Potreste decidere di cominciare ad imitare le testate normali che al momento della pubblicazione di un articolo verificano accuratamente le fonti, elevandovi così finalmente due o tre spanne al di sopra di tutti quei pennivendoli che semplicemente si affidano a chiacchere da pianerottolo o al volere dei poteri forti; che gliene pare?». «Certo è un’idea», gli rispose Scalfari senza staccare lo sguardo dalla catasta di documenti che continuava ad attirare tutta la sua attenzione.
A questo punto il suo interlocutore per uscire da un crescente disagio che stava diventando irritazione, gli chiese che cosa fosse quella montagna di fogli che continuava a consultare con tanto interesse. «Deve essere una cosa di estrema importanza per lei. Mi permette di guardarla anch’io e mi spiega di che cosa si tratta?». La risposta fu finalmente cordiale: «Venga pure accanto a me e le spiego la natura dell’oggetto. Il tema è quello del metodo della distruzione dell’informazione. Venga a vedere».
Infatti. E’ una idea tutta italiana che serve ai giornalisti per ottenere la dispersione delle singole informazioni, delle loro fonti, delle notizie e delle note usando alcuni pettegolezzi, alcune figure umane elementari ed alcuni gradi di parentela. I giornalisti usano la valanga di informazioni ricevute consultando casualmente quei fascicoli misteriosamente ottenuti per distruggere di volta in volta personaggi ritenuti degni di attenzione dall’opinione pubblica, i cui residui sprofondano nei buchi neri dell’informazione. L’obiettivo è realizzare la distruzione totale nel minor tempo utile.
Questo è quanto capì il mio amico aggiungendo al racconto che mi stava facendo alcune sue riflessioni. «Forse è quel metodo la ragione per la quale hanno distrutto il giornalismo; vogliono distruggere tutti in Italia e in Europa salvo poche persone. Ma non si sa quali siano». «L’hai chiesto a Scalfari?». «Sì, gliel’ho chiesto ma mi ha risposto no, non è da quel mucchio di carte che nasce l’idea del loro giornalismo». «E qual è allora?». «E chi lo sa, lui non me l’ha detto». «Lo rivedrai?». «Non credo, non debbo avergli fatto buona impressione». «Ma è lui che ti voleva incontrare?». «No, ero io».
Il mio amico si occupa di informazione, produce testate rispettate e studia autori sofisticati, ma i giornalisti finora no. Adesso penso che estenderà anche a quelli i suoi interessi; m’ha detto che vuole inventare un giornale in cui dall’Universo distrutto dell’editoria italiana e dai relativi buchi neri dell’informazione si possano far emergere altri Giornali degni di tale definizione. Forse Scalfari potrà rimanere in redazione almeno in qualità di capo reparto del settore pulizie.
Dio ce la mandi buona, ma con tutta sincerità temo un pò il peggio per la salubrità degli ambienti di redazione se avremo nella stanza delle scope un vecchio abituato a maneggiare tutto sommato serenamente e per così tanti anni una montagna di merda di quella portata.
Nota: se reputi (giustamente) ridicolo questo articolo, eccoti una spassosissima parodia dello stesso pubblicata sulle pagine de l’Epresso, indovina a firma di chi.