Robert (Clint Eastwood), fotografo della National Geographic, si trova a passare per la fattoria di Francesca (Meryl Streep) per chiedere informazioni su come raggiungere i ponti della contea di Madison, dove deve realizzare un servizio. Le circostanze dell’incontro e le rispettive condizioni di vita spingeranno progressivamente i due a volersi conoscere sempre più a fondo, dando vita nell’arco dei soli quattro giorni che avranno a disposizione, ad una sempre più spinoso viaggio verso i confini della clandestinità.
Oltre gli aspetti più semplici della trama (una classica storia di corna), questo piccolo gioiello di Eastwood colpisce soprattutto per la discrezione con in cui tende all’approfondimento, come con l’espediente narrativo del racconto portato alla luce dai figli di lei che introduce una delle riflessioni principali: vale sempre la pena dire la verità? o in qualche caso è più appropriato farsi carico delle conseguenze delle proprie scelte in maniera del tutto privata? Gli accadimenti sembrerebbero propendere per questa seconda opzione, elevando a potenza quel gesto che, nato come atto estremamente egoistico ed incontrollabile – il tradimento, si catalizzerà nel suo esatto ed iperaltruistico opposto – dunque ad esclusivo beneficio della famiglia – finendo seppellito oltre che tra le silenziate pieghe dell’anima della protagonista, anche tra quelle del suo diario.
In altre parole una sorta di apologia del dovere anzichè una semplice riflessione sul sacrificio, ossia sul primo di quei valori che visto il regista-protagonista ci si aspetterebbe più di veder trattato facendo cantare il revolver anzichè due mielosi innamorati. Invece qui a tenere le redini è un Clint ben diverso, conquistatore si ma senza cavallo, immobile sotto la pioggia mentre riceve la sua più grande sconfitta, incapace di comprendere per tempo quella svolta esistenziale da cui vorrebbe (o meglio potrebbe) originare la sua nuova vita, surclassato da una splendida Meryl Streep, dapprima passionale ma poi solidamente stoica nel saper domare il suo destino fino al traguardo del vero superamento Hegeliano della condizione di sofferenza, il cui apice diventerà proprio la confessione postuma affidata alle memorie per i figli narranti.
Una realissima favola lunga quattro lunghi giorni e due vite, il cui insegnamento più profondo potrebbe forse essere condensato nel socratico conosci te stesso: un inno all’accettazione dei propri limiti come unica soluzione per il loro stesso superamento.