Jack (Philip Seymour Hoffman) è un autista di limousine piuttosto impacciato e quando Lucy (Daphne Rubin-Vega) organizza, insieme al marito Clyde (John Ortiz), una cena da loro per presentargli la nuova collega Connie (Amy Ryan), abilissima fin da subito a manifestare l’inappropriatezza della sua vita interiore, tra i due sembra scattare subito qualcosa. Così, quando Connie si fa avanti chiedendo più o meno inadeguatamente a Jack di cucinare per lei, in attesa del giro in barca per cui ha già dato approvazione non appena sarà finito l’inverno, a Jack non resta che imparare sia a superare la paura dell’acqua che a gestire i fornelli.
E mentre Jack non vorrà far altro che migliorarsi quasi autisticamente giorno dopo giorno per poter coronare al meglio il suo primo ed etereo sogno d’amore, parallelamente il resto del mondo tutto intorno calerà sempre più la maschera, mostrando il suo lato più corrotto, meschino ed infantile, rivelando a suon di nevrosi e tradimenti la vera natura di rapporti ritenuti fino ad allora “normali”.
Un film estremamente pacato, in cui a fare la voce grossa è la semplicità sia narrativa che contenutistica: sempre sul filo della banalità, certo, ma esaltata per scelta, come a decantarne l’innocenza se contrapposta ad un mondo forse più sveglio ma anche artificioso e ben più squallido. Una volta capita l’antifona, squadrare qualunque personaggio – centrale o meno – alla ricerca di quel qualcosa di non palese annidato in qualche anfratto dell’anima verrà quasi naturale.
Interessante in ultima nota anche il ruolo giocato delle droghe, uniche capaci di minare un equilibrio in cerca di assestamento: forse una sorta di presagio per il destino del protagonista-regista di questo piccolo capolavoro, viste purtroppo le cronache di questi giorni.
ps: segnalo questo interessante articolo in ricordo di.