Dopo la breve ma intensa gitarella di Amsterdam in giugno, a metà agosto ci siamo concessi nientemeno che un intera settimana spagnola made in Malaga. Un esperienza assolutamente nabbomba che vado tosto a riepilogare ivi appresso.
Giorno -1: aperitivo da pre-aereo, trascorso con meditabondo tramonto e cena di saluto ai parenti.
Giorno 1: manco arriviamo che subito inauguriamo la stagione del magnamosetuttomentrebevemo. Dopodichè, insediamento nei reali alloggiamenti seguiti da breve giro esplorativo del centro della città, per l’occasione popolato da creature d’ogni epoca dedite a sfrenati balletti celebranti la dionisiaca feria malaghegna. Non avendo però attecchito nei nostri petrosi cuori alcuno spirito festaiolo, ci siamo superiormente diretti in direzione del porto ove ci siamo imbarcati per un indicibile peschereccio-tour bordo banchina, seguito da lancio dal ponte in mare aperto. Una prova molto dura: non appena sbarcati, dritti in der letto.
Giorno 2: la piacevole notizia dell’abbraccio notturno della tazza di CongestioRita accompagna il mio risveglio, già traumatizzato dall’effetto condizionatore. La giornata passa quasi intera chiusi in camera per parare la vomitina, poi con uno scatto di orgoglio, usciamo ad esplorare il settore delle spiagge a sud. La scelta si rivela piuttosto in linea con il tono infelice delle ore precedenti, vista la scortesia degli sguatteri di un bar che non avendo ascoltato neanche una volta andato al bancone a chiedere se potevamo ordinare, oltre a non produrre risultati apprezzabili per la conclusione di un ordinazione, ha fatto anco maturare l’idea che gli spagnoli ce l’abbiano a morte con chi parla inglese. Ergo, ci siamo alzati bestemmiando e sfanculando rigorosamente tricolore e siamo tornati in albergo a bocca asciutta, ripromettendoci di farla finita con gli anglismi ed affogando i dispiaceri nella sudaccia prodotta in un bar sulla parallela della nostra stanza.
Giorno 3: Il terzo giorno parte con i migliori intenti: puro ozio e poi si vedrà. Così va in effetti per più della metà della giornata che ci vede sbracati vigliaccamente sulla spiaggia della malagueta. Per ravvivare un pò il tardo pomeriggio, mi dedico con passione allo scoppiamento di un bubbone da primato, di cui non potevo non immortalare gli esiti. Una volta conclusa questa felice esperienza, chiudiamo la giornata cenando in quello che si rivelerà il miglior posto dove mangiare a malaga. Guidati dal sempre affidabile Tripadvisor, ci mettiamo alla ricerca del famigerato Tapeo de Cervantes, ristorante gestito egregiamente da una famiglia italo-argentina che per circa 20€ a testa ci fa ingozzare di ben 9 tapas di grandissimo livello (divise in due) accompagnate da vino + birra + dolce + caffe + digestivo. Se mai andrete a Malaga, non perdetevelo per nessun motivo. In chiusura, Taxi e morte.
Giorno 4: Una volta recuperate le energie dopo la difficilissima giornata precedente, ce la sentiamo talmente calla che bissiamo il centro storico per fare del buon turismo bigotto: la cattedrale con la torre monca, il museo di picasso, la bettola più rinomata… insomma, giriamo fra i vicoli Lonely Planet alla mano, interrotti solo dalle manie souveniristiche dell’irrefrenabile capitano. Poi come un lampo, un istinto suicida ci spinge verso il gibralfaro, scalato in sole TANTISSIME FATICHE. Per premio un tanto pittoresco quanto merdiocre museo pieno di reperti repliche (tranne un cucchiaio, rigorosamente originale). Ci rallegra solo l’idea di poter dominare dall’alto l’intera città, ma passato l’entusiasmo, ci buttiamo a capofitto nell’unica cosa che sappiamo fare veramente bene: sederci a tavola. Stavolta, grazie ai consigli della musa della giornata ossia la Lonely, optiamo per un ristorante verso nord, famoso per l’abbondanza delle porzioni e lo stile del servizio: in pratica loro passano strillando quello che hanno in mano, se fa per te alzi ti sbracci, dopodichè passeranno a contare i piatti scrivendo il totale sulla tovaglia. Inutile dirlo, sarà una digestione molto laboriosa.
Giorno 5: Oggi si rilancia con un notevole incremento di follie. Ci affittiamo la macchina e ce ne andiamo verso sud, direzione Tarifa. Guido dentro malaga, il solito paradiso che trovi ovunque fuori dall’italia: stradoni a tre corsie per direzione in centro città, strisce ben pitturate, distanze rispettate. Poi appena il tempo di uscire dall’autostrada (menzione d’onore al perverso sistema dei caselli, 18€ per forse 100km) che subito ci risvegliamo in un immobile coda lungoteverina, benchè praticamente in Marocco – il che forse spiega molte cose. Ci penserà Tarifa, le sue pale eoliche e le sue chilometriche spiagge a riproiettarci in piena vacanza, nonostante il gelo dell’oceano ed il costo di un asciugamano. Sulla via del ritorno entriamo a Gibilterra, ossia una piccola Londra con le sue puzze di cibo, i suoi diamantari, la sua segnaletica perversa, la sua cazzo di moneta (non il pound ma il GIBILPOUND) con in più l’aggiunta del caldo: un peggio senza fine? si, c’è anche la coda di un ora per ripassare la frontiera. Torniamo in albergo bypassando l’autostrada (o meglio i suoi caselli, il mistero delle tariffe si infittisce) e per torniamo intendo io e il navigatore, visto che il colonnello dorme impiccato nella cintura a circa 6 minuti dalla frase “ti faccio compagnia io per il viaggio”.
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Giorno 6: Due giorni scarsi alla ripartenza, dunque il programma prevede un nuovo giro di ozio spiaggiati su qualche lettino. Un simpatico autista ci conferma che l’autobus su cui siamo saliti è diretto ad una playa fantastica, colorando la descrizione delle amenità sventolando il braccio a mò di proboscide alludendo alla strepitosa spiaggia nudista giusto nelle vicinanze. Ovviamente preferiremo la sezione ciccioni anziani coi lettini materassati, limitando gli spostamenti al massimo fino al bar per un tè frio e la solita cervezita del commodoro. Non contenti della leggerezza della giornata, torniamo pure presto per fermarci al bar delle colazioni degli ultimi giorni, dove oltre a scoprire il miglior mojito della vacanza, facciamo anche la conoscenza del povero Quattro, che a suon di cicchetti, grugniti solitari e accenni di conversazioni con il nostro tavolo, si ritroverà accartocciato in ginocchio all’angolo del palazzo a collassare poco prima del tramonto. Celebriamo il fine giornata con una indecentissima coppia di pizze preparate a portar via e consumate a letto, mentre sullo schermo del 15 pollici CRT della camera passa il mitico Piero Angela via satellite col suo SuperQuark Estate.
Giorno 7: Ultimo giorno, spariamo le ultime cartucce con una turbo colazione a base di panini tuttaltro che pitufi e poi dritti alla stazione dei bus per acchiappare l’auto per Ronda, paesino disperso a circa un paio d’ore tra le colline dietro Malaga. La sensazione regalata dal viaggio qua è di passare sul set di un qualche film sub-western, tra muretti chilometrici in pietra a bordo strada, file di villette a schiera tutte pseudomodernamente uguali, stanche pale eoliche sparpagliate come indiani in vedetta sulle cime delle colline in controsole. Ronda si inserisce in assoluta sintonia con tutto questo, arrampicata su un blocco di pietra scavato a metà da un canyon, manco dovesse difendersi da chissà quale assalto al prossimo tramonto. C’è l’arena storica dei toreri ma più de 5€ per una piazza te li scordi. Ci affacciamo in una specie di casa museo piena di tutto, dalla collezione di armi alla sala delle streghe, dalle macchine fotografiche alle raccolte di torni d’epoca. Per cercare di capire il senso di tutta quell’ammucchiata storica, ci sediamo nel miglior ristorante della città sempre secondo la fida Lonely e tra revuelta di patate e vino rosso che “hombre, es el vino de RRRonda”, n’arto pò perdiamo l’auto del ritorno. Manca ormai poco pure al rientro italiota, quindi per fare una cosetta leggera ci trasciniamo in centro per farci il tour delle ultime birre+tapas: dopo il terzo giro nel terzo locale, con la scusa del cesso rimaniamo intrappolati in una specie di salumificio dei sogni: piatto salume e formaggi + vino + birra a meno di 10€. Torneremo in hotel poco dopo la mezzanotte, con la sveglia già pronta all’agguato per le 2.30.
Qualche ora dopo: Non so dove mi trovo, so solo che è tardi. Scendiamo, saliamo in macchina, poi la fila al check-in. Aereo, decollo, semidormita, atterraggio, bagagli che non arrivano mai, incazzatura al banco alitalia, poi guida e parcheggio al solito posto. Anzi no, siamo passati a prendere la mia macchina, quindi niente parcheggio. Il generale scende prima, io risolvo e sulla lunga via di casa ritrovo tutti i consueti scorci che Malaga mi aveva cancellato: il molo, le papere, le seggie. Il mio orto è sopravvissuto, così come il pomodoro che avevo tenuto in frigo per il rientro. Il richiamo del trono di porcellana si compie comunque puntuale come un rito, desiderato forse anche più del letto. Quello stesso letto che per scelta, o per sfida, o più probabilmente per pura idiozia abbraccerò solo alle 10,03 di sera.